Davide Frisoli, ricordi, frammenti

Aprile 2020, la primavera è esplosa con la sua luce, i fiori, il ritorno dei rondoni. Eppure, un virus, in pochi giorni, troppo presto, ha portato via Davide.

Ricordo ancora l’orario del treno: 6.43. Alla stazione di Carpenedo – dove anche io vivevo in quegli anni, intorno al 2005 – a dicembre, a gennaio, a febbraio, era ancora notte fonda. In pratica, un’ora di viaggio. Si dormicchiava, si consultava qualche carta, si leggeva. Si dialogava. Poi il treno, fermata dopo fermata, si riempiva, affollato da studenti, da altri lavoratori. Davide ascoltava musica, con le cuffiette. A Portogruaro era uno dei primi a varcare il portone della scuola, prof di ruolo, abbonato delle Ferrovie da settembre a giugno.

Davide si era rimesso a lavorare sui libri, con lena, a frequentare corsi, e fruiva di tutte le opportunità e i permessi per approfondire lo studio della psicologia. Dopo alcuni anni di impegno, superati tutti gli esami e le prove, aveva conseguito i titoli per esercitare la professione. Ricordo una visita nel suo appartamento, a pochi passi da Piazza Ferretto, dove aveva allestito il suo studio.

Ci eravamo incrociati alcuni anni prima, fine anni Novanta, anche se non ricordo bene dove. Un corso, un convegno, o qualcosa di simile, non ricordo la occasione specifica.

Per viale Garibaldi, dalle parti della Feltrinelli, ci si incrociava, e a volte si faceva un tratto di strada assieme, si parlava di cose personali.

Si era sposato con una collega, una bambina, un bambino. Un pomeriggio era a passeggio con uno dei piccoli, dalle parti di via Palazzo, e mi spiegava che erano alla ricerca di un particolare modellino, una riproduzione accurata, circa 10 centimetri, perfettamente dipinta, di non ricordo quale animale. I figli ne facevano collezione. Il negozio di giocattoli era a pochi passi, e mi ha invitato a varcare con loro la soglia di quel favoloso deposito di meraviglie infantili. Ecco, il piccolo animale era lì, ad aspettare minuscole mani felici e grate.

Poi si era messo al lavoro per diventare dirigente scolastico. Era riuscito nell’impresa, e aveva lasciato la cattedra di insegnamento, e aveva anche dovuto lasciare ogni attività professionale nel campo della psicologia. Spendeva le sue competenze, la sua esperienza come insegnante, prima da precario, poi prof di ruolo, per ascoltare studenti, genitori, colleghi in cattedra.

Ricordo l’ultima conversazione, una mezz’ora forse, a novembre. Si parlava della catastrofe ambientale, della catastrofe climatica, della manifestazione di Friday For Future che anche a Venezia si era tenuta a settembre, di quel che si poteva e doveva fare. Vedi – mi diceva Davide, con occhi acuti – a casa ho mia figlia che è Greta Thunberg 2, e ci tiene tutti in riga.

Con Davide ci si è visti poco, ciascuno preso nei propri impegni, e per quantità le ore vissute gomito a gomito non sono poi molte. Ma il dialogo, tra gli esseri umani, è fatto di spessore e qualità, e la qualità prevale sulla mera quantità.

Ecco, il nome di Davide sta scritto nel migliore degli elenchi, nell’elenco degli amici.

 

Agire, agire, agire (e prima pensare)

 

Le grandi manifestazioni di venerdì 27 settembre hanno chiuso la settimana di azione per il clima, promosse da gruppi di giovani, a livello mondiale, ispirati dalla protesta di Greta Thunberg. Greta, su Twitter, riferisce che i primi dati parlano di almeno 7 milioni di partecipanti, scesi in piazza ai quattro angoli del Pianeta.

La prima domanda è la seguente: il clima sta veramente cambiando? Per trovare risposte fondate conviene cercare fonti autorevoli, e dunque rivolgersi agli scienziati. Gli studi scientifici che investono in qualche modo il tema sono migliaia, e per la loro stessa mole chiedono un impegno che supera la portata di un comune mortale, e anche quella di un uomo politico medio. Per questo le Nazioni Unite hanno dato vita ad un organismo specifico, lo Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), di cui fanno parte centinaia di studiosi di varie discipline, provenienti da tutto il mondo, che ha esattamente il compito di leggere e valutare tutti gli studi scientifici prodotti sul tema del cambiamento climatico. Il loro lavoro viene poi sintetizzato in report che vengono pubblicati e diffusi in rete.

I report pubblicati da IPCC parlano chiaro: la Terra si sta riscaldando progressivamente e con un ritmo piuttosto deciso. Si tratta, ovviamente, delle temperature medie che vengono rilevate e calcolate a livello globale, e che vengono paragonate alle analoghe misurazioni effettuate, ad esempio, negli anni 1900-1910 e 1950-1960.

Le cause del riscaldamento globale? Le numerose attività umane che immettono nella atmosfera quelli che vengono definiti “gas serra”, come CO2, metano, e altri. Derivano, come noto, da varie fonti e dalla combustione di combustibili fossili, petrolio e carbone in primo luogo, ma anche dagli animali ammassati negli allevamenti, che costituiscono una consistente fonte di metano rilasciato in atmosfera.

Che fare?

Per prima cosa mettere a fuoco la nostra visione: prendere in mano e affinare la nostra visione del mondo, della nostra vita e della vita degli altri esseri.

Una certa visione del mondo, diffusa e pervasiva, continua a dipingere la Terra come un grande serbatoio di risorse, disponibili e accessibili, e basta allungare la mano, o scavare un pozzo, e si può prendere quel che si vuole, e avere una “crescita” continua e senza fine: basta avere i soldi, per pagare, naturalmente. Tutto si vende e tutto si compra nel grande Supermercato globale. E i rifiuti si buttano nella spazzatura, magari “differenziata”, e i gas tossici e serra si buttano, con tranquilla coscienza, in giro per l’aria, in balia dei venti.

Ebbene, questa visione del mondo è povera e falsa.

Questa visione del mondo ci sta portando, a grandi passi, verso la catastrofe climatica: gli ecosistemi non sono in grado di modificarsi e adattarsi ad un rapido innalzamento delle temperature medie globali. Le conseguenze sono le estinzioni di massa: quella umana è una delle numerose specie viventi inserite nella lista, perché gli uomini – e sono vari miliardi – camminano e respirano e mangiano se esiste un mondo ancora vivibile.

L’atmosfera non è un grande nulla, una grande discarica gassosa, disponibile gratis, dove bruciare e fumigare a piacimento quel che si crede; la Terra non è una grande miniera a cielo aperto, dove cavare ogni elemento e dove sversare, seppellire, ammucchiare e disperdere ogni genere di immondizia, ogni specie di rifiuto tossico, da lasciare in eredità alle generazioni future.

Che fare?

Due cose: pensare ed agire. Pare strano, ma a volte si evita di fare e l’una cosa e l’altra, almeno seriamente, e ci si contenta di quattro chiacchiere di superficie. Ovviamente, per poter pensare occorre prima informarsi: IPCC, data la complessità dei report che produce, realizza delle sintesi destinate ai “policymaker”, i “decisori politici”, gli uomini che stanno al governo. Queste sintesi sono on line, tutti le possono scaricare e leggere.

Possiamo così sederci tranquilli e aspettare che il governo di Roma, e i governi, discutano e approvino le misure più efficaci?

Che fare?

Aspettare che i governi decidano e ci dicano cosa fare? Sicuramente, e necessariamente, i governi e i parlamenti devono fare la loro parte, e le manifestazioni di piazza sono un pungolo utile e potente. Ma possiamo fidarci della tempestività, della efficacia, della assennatezza, della onestà degli uomini di governo? Le risposte alle prime due questioni sono, molto probabilmente, “no”: anche nel migliore dei mondi possibili, i tempi di reazione dei governi sono piuttosto lunghi, e dunque sarà necessario continuare a premere e manifestare, perché si tratta di mettere mano ad un sistema intricato e solido di interessi costituiti. Ma la questione climatica è una emergenza, letteralmente, e come tale deve essere affrontata.

In secondo luogo c’è il problema della efficacia, cioè della incidenza effettiva delle decisioni di governo. Ebbene, forse qualcuno lo dimentica, non è tutto nelle mani di un governo insediato a Roma, o a Parigi, o a Londra: a casa mia il governo sono io; a casa tua il governo sei tu. E dico “casa” a ragion veduta, perché una delle fonti di “gas serra” è costituita proprio dalle abitazioni, e dagli uffici: nessun governo, da Roma, verrà a controllare come e quanto si riscaldano le mura domestiche. Nessuno verrà a vedere cosa si mette nel carrello del supermercato quando si fa la spesa, o se si seguono le mille altre pratiche che non portano impatto sull’ambiente e sul clima. Insomma, il governo, nel nostro pezzetto di mondo, siamo noi, e sta a noi cominciare ad agire.

Se la casa brucia, ed è quello che sta avvenendo, si smette di buttare benzina sul fuoco, e si corre a spegnere l’incendio, non si sta ad aspettare che lo dica il ministro di turno.

 

Nella foto, un frammento della manifestazione di Venezia.