Leonard Clark atterrò all’aeroporto di Lima il 10 giugno 1946. Era a caccia di tesori. Con un equipaggiamento ridotto al minimo, con un solo compagno, in totale autosufficienza, si avventurò nella giungla scendendo dalle Ande peruviane. Cercava le sette mitiche città di cui parlavano i conquistadores spagnoli, le città dell’Eldorado, che nessuno aveva mai trovato. Aveva frequentato l’università di California, si era laureato. Cominciò a lavorare in una banca, ma furono solo delle parentesi: partì per il Borneo, viaggio per il mondo, si arruolò nei servizi segreti durante la seconda guerra mondiale e operò dietro le linee giapponesi in Cina, e infine la discesa per i fiumi e le foreste del Perù e del Brasile.
Ho incontrato la storia di Leonard Clark quando avevo 13 anni, frequentavo la seconda media. Una supplente di italiano, giovane e carina, ci aveva parlato della storia di questo esploratore e scrittore, e indicato il titolo del suo libro che raccontava i viaggi in Sud America. Comprai subito il volume – I fiumi scendevano a oriente – e mi immersi in un mondo totalmente nuovo e sconosciuto, ancora intatto, popolato da serpenti dal veleno mortale, da foreste primordiali, da genti ancora indipendenti e libere di vivere nella foresta, da temibili cacciatori di teste delle tribù Jívaro Huambiza.
La lettura di quel libro è stata una vera esperienza, una occasione per conoscere realtà e costumi totalmente altri, di viaggiare in maniera autentica – anche se non mi ero mosso da casa – perché il viaggio, in realtà, è innanzitutto un fatto intellettuale e interiore.
Quel mondo, oggi, non esiste più.
Nel frattempo la popolazione mondiale è triplicata. I viaggi “avventura” sono praticamente diventati un affare per agenzie di viaggi specializzate e, ormai, le aree veramente selvagge sono quasi del tutto sparite. Gli appetiti dei commercianti di legname, di governanti e funzionari, delle multinazionali dei settori minerario e petrolifero, degli allevatori di animali destinati a diventare polpette per le catene dei fast food, hanno portato alla distruzione di gran parte della foresta amazzonica. Per fare posto a coltivazioni di erbe impiegate come mangime per ingrassare le vacche.
I Chama, i Campa, i Jívaro, dove sono oggi? Quanti brandelli del loro mondo sono rimasti?
Frammenti di queste storie sono nel film Il sale della terra e le racconta Sebastião Salgado.