– Quidquid facere te potest bonum tecum est. Quid tibi opus est ut sis bonus? Velle. –
– Tutto ciò che ti può rendere “bonum” è in tuo possesso. Cosa ti occorre per essere “bonus”? Volerlo. –
E’ un passo di Seneca. Esprime una verità fondamentale. E’ una massima da tenere sotto gli occhi, da ripetere ogni giorno.
Ma cosa significa “bonus”? Molte cose, e anche oggi in italiano “buono” assume varie valenze. Può voler dire “buono; lieto; prospero”; ma anche indicare un concetto filosofico come “il bene”. Può significare “nobile”, a motivo dei natali; ma anche – e su questo intendo soffermarmi – indicare il possesso di qualità morali e intellettuali, che fanno essere un uomo “retto; onesto”, e, infine, “valente”.
Per essere un uomo, una donna, “valente”, non è dunque necessaria una nascita “nobile”, o il possedere una fortuna in beni materiali, perché ciascuno ha già tutto quello che occorre, e quel che serve ed è necessario allo scopo è già in suo “possesso”.
Volerlo.
Nessuno ci può obbligare a volere qualche cosa. Eppure, in molti modi, possiamo essere condotti anche noi, docilmente, alla greppia e all’abbeveratoio. Possiamo sentirci in qualche modo minacciati, direttamente o indirettamente, e la paura può condurre il nostro comportamento; oppure, al contrario, possiamo essere sedotti da rappresentazioni allettanti, da immagini che attirano con la forza della loro immediatezza, da video accattivanti dove sempre splende il sole e tutti sorridono e la musica è sempre quella giusta. Questi mezzi, l’intimidazione e la seduzione, sono generalmente utilizzati nelle società occidentali per condurre docilmente le menti dei singoli. I cuori, e i piedi, naturalmente, seguiranno senza alcuna apparente coercizione.
Eppure nessuna azione può essere compiuta se non da noi. Nessuna omissione.
La qualità delle nostre azioni deriva dalla qualità delle nostre intenzioni, dalla qualità delle nostre riflessioni, analisi, meditazioni. Sono e saranno azioni nostre, veramente “nostre”, se impariamo a coltivare la capacità di essere liberi, se alimentiamo la consapevolezza di avere delle possibilità, e sta a noi comprendere e tradurre le possibilità in azioni e realtà effettive.
Solo noi possiamo avere i nostri sogni, e gettare le fondamenta dell’azione su qualcosa di solido, e realizzare qualche cosa di autentico. Ciò che è solido, attenzione, non è qualcosa di materiale, ma la nostra capacità di volere – se la coltiviamo – e dunque, infine, la nostra capacità di essere liberi.
Occorre, per questo, rendere limpida la visione.
Gli esseri e le cose del mondo sono sotto i nostri occhi, ma la visione che ne abbiamo è condizionata dai nostri desideri, dalle paure, dalle aspettative, dalle attrazioni e dalle repulsioni. Tutto questo è parte del nostro essere uomini e donne, e costituisce in profondità la nostra maniera di entrare in relazione con l’ambiente e con gli altri, ed è parte integrante della nostra personalità. Naturalmente, se si preferisce il gelato al pistacchio, e si rifiuta quello al cioccolato, nulla cambia nella nostra vita, che queste sono inezie.
Al contrario – non è necessario fare degli esempi – inclinazioni, scelte, azioni, passività, omissioni, modi di concepire il mondo costituiscono quello che noi siamo, quello che siamo veramente. Occorre, su questo, coltivare la consapevolezza, ed essere interiormente attivi e non passivi.
Qui si radica la nostra più essenziale possibilità di essere liberi, qui si radica la nostra più concreta possibilità di essere schiavi. Schiavitù o libertà? A noi decidere.
Per farlo occorre cercare di avere e coltivare il senso del nostro “io”, avere la capacità di mettere a fuoco quello che noi siamo e vogliamo essere, ponendo l’attenzione su quel centro profondo della nostra personalità, su quel nocciolo della nostra volontà, su quel nucleo relativamente stabile che tendiamo a considerare il nostro io.