Ieri ho messo a dimora due alberi di melo. Le ricerche, in internet, erano state sviluppate in autunno e ora, in primavera, ho agito. Ho contattato un vivaio che ricerca e riproduce varietà antiche, coltivate con metodo biologico, e che si trova presso il Lago di Garda. Non mi sono mosso di casa: ho fatto la selezione dal catalogo pubblicato sul sito, ho telefonato per chiedere consiglio e poi per ordinare, e il corriere ha consegnato le piante in meno di 24 ore, giovedì.
“Abbondanza rossa” è già in fioritura, e appare nella foto.
Cinque ore di lavoro, ieri, per misurare e decidere esattamente il posizionamento di “Jambon”, e scavare la seconda buca. Quindi, conficcato con la mazza due paletti di sostegno, frantumato bene la terra, rimessa nella buca, cavato dal vaso la pianta, messa in posizione al giusto livello. Poi calcato un poco il terreno e spianato bene, annaffiato con alcuni litri d’acqua, legato la pianta ai due tutori laterali. Questo per ciascun alberello che, se tutto procede, diventeranno alti 4-5 metri, e regaleranno pomi dalla buccia di un vivace colore rosso.
Sono stato alcuni minuti a contemplare il lavoro finito.
Che soddisfazione.
Un lavoro autentico. Un lavoro produttivo, fisico, fatto con le mani, con le gambe, con la schiena, sotto il sole di aprile, carezzato da una leggera brezza. Un lavoro che unisce l’arte umana del vivaista, che ha innestato le varietà su portainnesto MM 106, e la natura, che si risveglia e caccia fuori nuove gemme e foglie, e fiorisce in primavera.
Sono stato a contemplare, e notato le api che veloci guizzavano già a studiare la nuova pianta, ancora un fuscello di 140 centimetri, ma già fiorita di rosa e di bianco.
19 aprile 2019, ho messo a dimora un contributo, piccolo forse, ma concreto, alla vita di questo pianeta Terra. Le mele, frutti deliziosi, salutari già nei detti popolari, matureranno nel mio brolo. Non più decine di trattamenti con sostanze chimiche spruzzati per le valli, non camion fumiganti giù per la Valsugana, non più banconote firmate da Mario Draghi – secondo calcoli approssimativi risparmierò circa 150 euro l’anno –, non più lavoranti che sudano in Trentino.
Solo un cappello di paglia calcato sulla testa, una scaletta con pochi gradini, una mano che si allunga a cogliere i doni della natura.